martedì 21 febbraio 2012

Oggi pomeriggio non ho potuto fare a meno di riflettere ancora una volta su quanto il lavoro di un medico, anzi meglio di un chirurgo, e quello di uno psicoterapeuta, si somiglino. Entrambi devono cercare di riparare qualcosa, tenendo conto di non essere in grado di riuscirci, di sbagliare nel tentativo del salvataggio o peggio ancora di provocare ulteriori danni. Poi però ho pensato che il chirurgo, prima di operare, si sterilizza sempre le mani e indossa mascherina, cuffia e guanti di lattice per non rischiare di infettare il paziente con i germi che porta dall'esterno della sala operatoria, dove, proprio per la salute dello stesso, è necessario che sia tutto perfettamente asettico. Perciò, di conseguenza, ho pensato che normalmente anche il terapeuta dovrebbe avere la mente sgombra dai suoi problemi personali quando tratta coi pazienti, per evitare che le sue dinamiche influiscano con l'andamento della seduta o dell'intera terapia e ne vada così dell'integrità psichica del paziente.

Ma subito dopo mi sono chiesta: come si fa a sterilizzare i pensieri?

4 commenti:

  1. sterilizzare? Boh!

    Io posso dirti che se passo molto, molto tempo a rimuginare su di una questione, arrivo al nucleo logico che la determina. Ora ti chiederai: come fai a riconoscere il nucleo? Beh, credo sia una questione di approccio e di prove del nove.

    Il nucleo esiste al di là delle ipotesi, quindi si tratta più che altro di osservare attentamente. Cosa? Beh, il punto su cui tutto ruota. Quello è il nucleo. Se stiamo nel campo dei disturbi d'ansia, il nucleo è il tema ricorrente su cui ricade il pensiero del paziente, o l'immagine che scatena l'attacco, o un determinato contesto. Lì nasce il disturbo.
    Trovato il nucleo, c'è da capire se è quello originale, perché a volte, specie con l'ansia, il nucleo centrale alimenta una serie di micro-nuclei (perdona il linguaggio non scientifico! :D) che compongono altrettanti centri d'ansia. Magari ne incontri uno ma funge da paravento.

    Per capire cosa hai davanti c'è la prova del nove: introdurre dei disturbi che spezzino l'equilibrio. Esempio: ogni volta che prendo il treno per andare a Bologna ho un attacco di panico. Siccome lo prendo tutti i giorni, deduco che "andare a bologna" sia il nucleo, tant'è che ripensando alla città di bologna mi vengono dei forti e profondi fastidi. Ergo: bologna = nucleo.
    Prova del nove: prendo il treno e vado a Roma. Immetto un disturbo nel meccanismo "bologna = panico", e guardo cosa succede. Così scopro che anche andare a Roma mi fa stare male, quindi capisco che la prima ipotesi è falsa, è un nucleo secondario dell'ansia. Bologna mi da' lo stesso fastidio di Roma, non può essere il nucleo centrale. L'unico punto in comune è "prendere il treno".
    Perciò passi a ipotizzare che sia il "viaggiare in treno" a costituire il vero motivo dell'ansia, dato che rende vera sia l'ipotesi "viaggio a bologna = panico" e "viaggio a roma = panico".

    Insomma, procedi così finché ogni situazione che valuti è compresa nella tua ipotesi sul nucleo e non ci sono eccezioni. Penso che questo sia quanto più vicino allo "sterilizzare i pensieri" e tenere fuori i propri pregiudizi e/o opinioni dalle sedute.

    (magari ho scritto un sacco di banalità, ma io mica ho studiato da pissicologgo!) :P

    p.s.: hai gabido, o non hai gabido un gazzo manco te???

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    1. Si si ho capito perfettamente, sei stato molto chiaro :) Però credo che quello che hai descritto si riferisca alla dinamica dello scavare all'origine del problema per poterlo risolvere, io invece per "sterilizzare" intendevo proprio metterli temporaneamente da parte più che risolverli e per quello ci vuole un po' più di tempo. Più che altro mi riferivo alle normali preoccupazioni quotidiane, non a problemi più seri :P (considerato anche che quelli il terapeuta dovrebbe averli già risolti con l'analisi durante il suo percorso di formazione)

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  2. Uhm... sterilizzare i pensieri.
    Sai i chirurghi non sterilizzano solo se stessi, prima di entrare in sala operatoria. Si perdono nel lavaggio lungo, accurato, nella ripetitività del gesto, per uscirne con la mente purificata quanto le dita.
    E' un rituale. Quando vorrai davvero, troverai il tuo. Purtroppo non è altro che una questione di "volere", nel senso di "avere voglia", non "avere volontà". E' una differenza sottile, ma precisa. La volontà spesso non manca, prova ne è il fatto di sentire come disturbante una condizione e capire la necessità di allontanarsene. E' la voglia a non esserci, ed è quella che fa da carburante.
    Prova a buttarti nella mischia. Prova a metterti nella situazione di dover tenere lontani i tuoi pensieri, in contesti attinenti alla tua formazione, magari. Allenati, che l'appetito vien mangiando.
    Ti parlo da futuro medico con le stesse paure. Ho provato di tutto: lavorare a contatto con la gente come cameriera o in un call center, fare volontariato nell'emergenza medica, aspettando che il mio sogno si avveri, nonostante la fatica. Ho cercato di misurarmi, e sai che c'è? Quando sei lì in mezzo, quando devi fare, quando non sei protetta dalla campana di vetro dei tuoi pensieri ottundenti perché il mondo ti entra in testa con le necessità altrui, quei pensieri si fanno da parte, semplicemente. E' un meccanismo di sopravvivenza, la concentrazione arriva, anche se vacillante. E' rassicurante essere umani, perché funzioniamo un po' tutti allo stesso modo, anche quando ce ne dimentichiamo.

    Ho letto molto, qui. Non c'entra niente, ma mi è piaciuto molto il tuo post del 29 maggio 2011. Ci sono cose che avrei potuto scrivere io, per quanto ami il cibo.

    In bocca al lupo per tutto.

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    1. Ho letto e riletto il tuo commento e ogni volta che lo rileggevo e mettevo insieme i pezzi pensavo che il tuo modo di scrivere mi ricorda tanto quello di una persona a cui ho voluto molto bene. Lo so che non c'entra niente con il contenuto, ma mi andava di dirtelo lo stesso, forse perché anche questo strano parallelismo ha contribuito a colorare la prospettiva con cui ho accolto ciò che mi hai scritto.
      Per quanto riguarda il resto, le tue parole sincere mi hanno colpita. Proverò a fare come mi hai suggerito, mi butterò nella mischia, anche perché temo di non poter fare altrimenti e soprattutto perché solitamente le sfide mi piacciono e mi piace mettermi in gioco. Confido nella passione che mi guida e nel mio "meccanismo di sopravvivenza", come lo hai definito tu. Per quanto riguarda il post del 29 Maggio, beh, spero di imparare piano piano ad uscire fuori da quei meccanismi, perché sono piuttosto deleteri, in qualsiasi forma si presentino.

      Grazie per il bel commento, chiunque tu sia.

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