giovedì 30 luglio 2009

Non trovo le parole adatte per un titolo che renda bene l'idea

Io mi sono rotta il cazzo e scusate se è poco. Se non vi piace il turpiloquio potete anche chiudere questa insignificante pagina di diario di un'emerita imbecille quale è la sottoscritta. Poco mi frega. E per vostra informazione io adoro il turpiloquio, non c'è niente di più gratificante da dire quando si è incazzati. Non mi frega più di tanto di sembrare una ragazzina educata in questo momento perchè mi sono rotta il cazzo (ripeto il concetto). Ho tanta di quella rabbia che vorrei urlare. Io sono un'idiota al cubo. Ho sbagliato tutto. Maledetto il giorno in cui ho incontrato lui, maledetto il giorno in cui ho deciso di ficcarmi nella merda intraprendendo con così tanta leggerezza una cosa che sarebbe diventata così seria. Ero inesperta, d'accordo. Ero sempre stata la solita ragazzina sfigata, occhialuta, secchiona e per giunta con l'apparecchio ai denti che nessuno si era mai sognato di filarsi o addirittura di invitare ad uscire. In un certo senso potevo essere la brutta copia della sorella di Polly Pocket, data la mia prorompente statura ( Polly Pocket aveva una sorella??). Questo più o meno fino ai diciott'anni o poco prima. Più o meno fino a quando non sono uscita da quel vortice di indefinite trasformazioni che si chiama "adolescenza" e ho scoperto che ero a tutti gli effetti diventata una donna. Ho scoperto che, tolto l'apparecchio, l'universo a me sconosciuto e denominato come "pianeta dei ragazzi", iniziava ad apprezzare il mio nuovo sorriso e dietro le mie sottili lenti, ad essere ammaliato dai miei "occhioni da cerbiatta". Anche il mio corpo si era trasformato. Era diventato più morbido e dolce rispetto alla mia costituzione estremamente asciutta dell'età infantile. Avevo capito di avere un grande potere nelle mie mani. Il potere del fascino femminile. Era tutta un'altra cosa. Era bello esercitarlo sui ragazzi e sentirsi guardata. Non mi era mai capitato fino ad allora e la sfortuna ha voluto che uno dei primi alieni del pianeta sopracitato ad esserne catturato fosse proprio lui. Lui che mi riempiva di attenzioni come mai nessun'altro aveva saputo fare, lui che mi sembrava tanto vicino al mio modo di pensare, lui che mi sembrava diverso. Iniziò tutto solo per sfizio, almeno da parte mia. E' stato dopo che mi sono rovinata con le mie stesse mani perchè mi sono coinvolta più di quanto non pensassi, più di quanto non pensavo di poter fare. Questo l'ho scoperto solo dopo averlo lasciato, esattamente dopo un anno e tre mesi di relazione stabile. E perchè l'ho lasciato? Perchè gli sguardi degli alieni intorno a me si facevano sempre più presenti e crescevano di numero. Alieni più belli di lui in superficie ma molto, molto marci all'interno. Alieni tentatori che con le lusinghe stuzzicavano in me l'esercizio del potere che mi aveva riscattata da un'adolescenza infelice di quasi emarginazione. E questo mi ha fottuto, perchè ero distratta da lui. E in questo modo non potevo continuare, per cui sarebbe stato meglio darci un taglio se continuare avrebbe dovuto significare scindere la mia mente dal mio corpo.


Continuavo ad esercitare il mio potere ma per puro gusto di farlo e perchè avvertivo uno strano vuoto in sua assenza. In  questo nuovo vuoto un alieno conosciuto per caso è riuscito a catturami quasi completamente. L'alieno era molto, molto bello in superficie e la mia nuova Me si chiedeva come mai una creatura così perfetta fuori, così statuaria, si fosse interessata ad una come me. La creatura aliena, invece, (che in seguito dentro non si è rivelata poi così brutta ma soltanto un pochino troppo semplice per i miei gusti) mi percepiva come desiderabile, con mia grande sorpresa. Non ero mai stata abituata ad essere l'oggetto dell'attenzione di una creatura simile che mi sembrava quasi irraggiungibile. Iniziai persino a ricredermi su me stessa. Quell'alieno non era l'unico. Ce n'erano altri ma nessuno mi andava completamente a genio. Stranamente pensavo ancora al mio primo alieno, ne ero persino gelosa. Dati i sintomi, decisi di ritornare sui miei passi e chiedere una seconda possibilità.  Possibilità concessa. Ma da allora non faccio che buttare il mio orgoglio nel cesso e non posso fare altro se non sopportare e ingoiare lo stesso dolore causato al mio alieno. Ma tutto ha un limite. Sentirmi non indispensabile per lui è troppo, più di quanto io meriti. Sentire che la mia presenza, ora, gli è forse quasi indifferente mi sembra una punizione troppo crudele rispetto al reato di cui mi sono macchiata. Aver smesso di amarlo, non so. Forse averlo amato meno e averlo lasciato prima che la nostra storia potesse diventare un vortice di tradimenti e bugie da parte mia e sofferenza inaudita da parte sua. Aver fermato tutto prima che io potessi cedere alla tentazione di tradire il primo uomo che mi abbia saputa apprezzare come una donna. Non avrei voluto che accadesse perchè non si meritava di soffrire così. Poi ha sofferto lo stesso, ma era inevitabile e non perchè io lo avessi messo da parte per qualcun'altro. Ho fatto di tutto per cercare che non accadesse, questo era il massimo che potessi fare ma ciò che ho fatto allora io dovevo farlo, non c'era altra via d'uscita. Mi sono sforzata al massimo per garantire onestà e trasparenza nel nostro rapporto. Ma tu questo non l'hai mai capito e adesso stai andando oltre. Ti stai avvalendo del fatto che sono stata io la prima ad averti ferito per ferirmi a tua volta. Con la grossa differenza che quando l'ho fatto io non ci provavo gusto in quello che facevo, mentre a me sembra che per te sia proprio così.


 Non so quanto altro potrò sopportare.

venerdì 24 luglio 2009

Apparenze

L'apparenza è quanto di più subdolo, ambiguo e triste possa esistere. Ti lascia in bocca il gusto del dubbio, dell'artificio, di qualcosa che non potrà mai essere genuino. Come se stessi mangiando una sbarra di metallo. Inodore, insapore, che non si lascia attraversare da nulla. E non c'è storia, non ci puoi combattere. Vince sempre lei. E' brutto sentire questo sapore in una persona, in una storia che dovrebbe aspirare alla felicità e invece porta solo sempre più amarezza. Forse ho sbagliato io, ho sbagliato tutto. Fin da quando l'ho conosciuto, ho sbagliato. Ho sbagliato a cercare di rimettere insieme i cocci di un vaso che io stessa avevo distrutto e che dovavano rimnere li a terra, testimoni di una cosa che è stata bellissima ma che non poteva mai più tornare. Nemmeno adesso che sto cercando di ricostruire quel vaso con più impegno di quando lo avevo creato, insieme alle sue mani, sta tornando ad avere la stessa grazia, la stessa bellezza che aveva prima. Per quanto abilmente nascoste, le crepe non possono essere cancellate. E tutto questo sempre e solo per colpa mia. E' mia la colpa se quando è con me non sono più i suoi occhi a guardarmi, la sua bocca a sorridermi e le sue mani non mi cingono più con la stessa tenerezza e la stessa forza di prima. E' mia la colpa se non è più con le sue parole che mi parla. Quel ragazzo è morto da tempo e l'ho ucciso io. Non potrà tornare indietro mai più, ne sono consapevole. Saperlo è frustrante. Tutto è frustrante. Come si comporta, quello che mi dice per giustificarsi. Tutto. Questo è il prezzo che devo pagare ed è molto caro. Anche se sarebbe stata l'ultima cosa al mondo che avrei voluto io l'ho ferito e queste sono le conseguenze, prendere o lasciare. E sarebbe troppo comodo lasciare. Lui non mi ha mai capita fino in fondo, ma anche su questo sorvolo. Non posso pretendere che capisca un gesto per lui quasi mortale. Spero solo che capisca che dopo quasi due mesi in queste condizioni è il caso di abbassare la guardia per entrambi e mettersi d'impegno e cercare per quanto possibile di far tornare tutto simile a prima, o quasi. Perchè io lo amo, anche se non glielo ho ancora ridetto, ma il punto è che non sono più sicura che lui ami me nemmeno con la decima parte dell'intensità con cui sono stata amata prima.

lunedì 20 luglio 2009

Percezioni di me stessa

Io devo chiaramente possedere una qualche forma di istinto di autodistruzione, non si può spegare altrimenti. O meglio, più che me, l'altra parte di me stessa. Quella parte vessatrice e autolesionista che non fa altro che sopprimere, fino a farla sparire, colei che vi sta parlando, che mi annienta. Ci sono sempre stati due istinti in me: uno di libertà e di anticonvenzionalismo e l'altro di ferreo conformismo alle regole assolutamente eccessivo fino ad arrivare all'ossessività. Il problema è che in me si è sempre manifestato prima il secondo, sin da quando ero piccola; il primo è venuto fuori soltanto negli ultimi anni d'adolescenza ed è quindi più debole. Una serie di fattori hanno rafforzato talmente tanto la mia dittatrice che è riuscita ad imbavagliarmi e a farmi marcire nei più reconditi spazi della mia (in)coscienza. In questo preciso istante vi sto parlando dall'antro del mio stomaco (ogni tanto posso uscire), il mio posto preferito per le comunicazioni verso il mondo esterno. E vi dico che io devo quasi essere arrivata all'orlo della follia. Per compiere uno dei tanti doveri che l'altra parte di me mi ha nuovamente imposto sono arrivata a saltare i pasti, a razionalizzare il mio tempo in una maniera da manicomio, a disperarmi per non aver compiuto tutto alla perfezione, a scegliere di tagliare tutto e tutti dalla mia presunta vita sociale, ad indebolirmi sempre più fino a vacillare quando cammino, trovandomi qualche livido ingiustificato ogni tanto. Si, lei deve proprio essere impazzita e molto molto stupida. Ed è difficile da spiegare come io mi senta, ci provo a ribellarmi, ci provo sul serio ma non ce la faccio, non ci riesco. L'istinto suicida è ormai parte di me.  E' inutile, sarò sempre la solita e mi farò sempre del male. Si, io. Perchè infondo lei è parte di me e io sono parte di lei. Ma chi delle due è me stessa?  

lunedì 13 luglio 2009

"Me chiama Libertà, passo."

Mi sento in gabbia. Fatemi uscire, vi prego! Una boccata d'aria non mi basta, io voglio sorsate e sorsate e ancora sorsate di libertà! Fino quasi ad arrivare al punto di rifiutarla per paura di non poterla apprezzare. Non sono abituata a stare per così tanto tempo lontana dal mio mare. La fuori tutti ridono, vivono! Io sono fuori dal tempo, se non fosse per il caldo non mi accorgerei nemmeno in che stagione siamo. E più penso che sto crescendo e che non potrò più essere spensierata come prima, che il tempo per vivere certe cose ormai è finito e non ritornerà mai più, più mi viene voglia di tornare indietro. La verità è che io non sono mai voluta crescere, dentro mi sento ancora una bambina e questo stride alquanto con i miei doveri di giovane adulta ventenne. La vita cambia e mi spaventa, io non posso farci niente e l'impotenza e la logicità di quello che sto dicendo mi spaventano. Forse la mia prigione è proprio questo guscio di adulta, troppo stretto per la mia mente troppo girovaga. Cercherò di strappare qualche altro lembo della mia infanzia finché potrò. E' tutto.