domenica 29 maggio 2011


"L'anoressia è un termine che ci conduce fuori strada, nel senso che non conosco una persona più affamata e più bisognosa della persona anoressica. La grande forza di queste persone è di rifiutare ciò di cui hanno bisogno: il cibo è una delle tante cose che respingono; queste persone rifiutano di desiderare e la loro forza è una forza che loro costruiscono poco per volta, momento per momento."

 


Credo che questa sia la migliore definizione di anoressia che io abbia mai letto, seppure non abbia nulla di scientifico, nulla a che fare con dei criteri diagnostici o delle classificazioni. E mi ha colpita come un fulmine a ciel sereno. "Il cibo è una delle tante cose che respingono". Non esiste verità più vera su un'anoressica. Perchè un'anoressica vera si priva di tutto, il rifiuto del cibo è solo ciò che si può vedere in superficie, la punta dell'iceberg. Leggendo quella definizione, in un attimo ho collegato tutto della mia vita. E' come se mi fossi elevata sopra di me e fossi finalmente riuscita a vedermi dall'alto, per intero, e avessi collegato quei pezzi che mi mancavano. In un istante, grazie a quelle parole, sono riuscita a capire la vera natura dei miei meccanismi. Anoressiche si è dentro, prima ancora che fuori, e io ho capito che in fondo non ho mai smesso di esserlo, perchè l'anoressia è il modo in cui ho sempre affrontato e continuo ad affrontare la mia esistenza. Prima con il cibo, poi con gli affetti, sacrificando da sempre con lo studio quella vita vera che non ho mai vissuto. Non so perchè ma è sempre stato un modo per punirmi, non chiedetemi per quale colpa. Per disciplinarmi, per esercitarmi a controllare ogni minima parte di me. Ma per cosa poi? Adesso me lo chiedo. Per cosa cerco di privarmi sempre di tutto? A che cosa mi ha giovato reprimere o allontanare la fame prima, i sentimenti dopo? Perchè ho sempre cercato di negarmi, per poi ricevere solo il nulla? Non so rispondermi. Sul serio non so per quale motivo io abbia sempre fatto tutto questo a me stessa. Probabilmente perchè non mi amo o non mi rispetto abbastanza. Ho capito che anche con lui è andata così. Stavo bene e poi ad un certo punto ho deciso di privarmene, forse perchè era troppo o perchè non ne ero abituata? Non lo so. Rifiutavo persino l'idea di amarlo, nonostante il mio dolore. Avevo deciso di respingere qualcosa che mi dava vita, nonostante sapessi che mi stavo facendo del male, ed è esattamente la stessa cosa che sto facendo adesso. Ho imparato a rifiutare l'amore, nonostante io ne abbia sempre avuto così tanta fame, nonostante io ne abbia ancora. Si, ho fame, ho una fame disperata d'amore, dannazione. Adesso l'ho detto. So già che me ne pentirò tra qualche secondo. Non è facile ammettere di aver bisogno di qualcosa o di qualcuno, è così profondamente umiliante. Forse è per questo che ho sempre finto di non averne. E ditemi voi cos'è questa se non anoressia. Non fatevi ingannare. L'anoressia non è solo una malattia del corpo, è un modo di essere, è la malattia di chi non ha il coraggio di chiedere ciò di cui ha bisogno, chè preferirebbe morire piuttosto. L'anoressia è una malattia dell'anima.

venerdì 20 maggio 2011

Oggi, studiando psicologia clinica dello sviluppo, mi sono imbattuta nelle sidromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico, che tradotto in italiano sta per autismo e le sue varie forme. Tra gli innumerevoli sintomi che questi bambini presentano ce ne sono due che mi hanno colpita particolarmente: il rifiuto di incrociare lo sguardo altrui e la mancata comparsa del sorriso, che in generale, denotano isolamento e chiusura verso il mondo esterno. In realtà erano sintomi che conoscevo già bene. Quando avevo più o meno 15 o 16 anni e partecipavo al progetto di clownterapia del mio liceo (ero al mio secondo anno ma era la prima volta che facevo pratica) ci fecero operare per qualche mese in un centro diurno per bambini autistici. Credo fosse a Sammichele o una cosa del genere. Ricordo che quando misi piede in quell'edificio ero quasi terrorizzata, perchè oltre ad essere la primissima volta che operavo sul campo e ad avere una paura matta di non sapere cosa fare, nonostante con noi ci fossero i grandi, non avevo mai avuto a che fare prima d'allora con un bambino autistico. Una delle prime cose che ci vennero dette fu che questi bambini non guardavano mai nessuno negli occhi e che proprio per questo motivo dovevamo fare di tutto per inchiodare il loro sguardo al nostro, richiamando continuamente la loro attenzione. Cercai il più possibile di fare mia quell'indicazione e di metterla in pratica quante più volte potessi. Lavoravo sempre con un bambino, sempre lo stesso, di cui non ricordo il nome ma a grandi linee i tratti: aveva la pelle chiarissima, capelli castano scuro e due occhioni tristi. Non ricordo precisamente il loro colore, forse erano di un verde scuro, ma ricordo bene che erano molto grandi e assenti. Però io cercavo, e riuscivo a vedere qualcosa in quegli occhi che pure non mi sfioravano quasi mai, come un'eco lontana di una richiesta d'aiuto. Forse ero io che volevo vedercela, forse quegli occhi erano davvero spenti ma erano talmente belli che mi sembrava un crimine che fossero costretti a rimanere muti per tutta la vita. Inizialmente non sapevo che fare. Ero imbarazzata e non riuscivo a pensare ad altro che non fosse il mio solito modo di fare con i bambini e cioè offrire loro un approccio fisico. In genere mi viene più naturale mostrare il mio affetto con un gesto, una carezza, un bacio o un abbraccio piuttosto che con le parole, ancora di più se si tratta di un bambino. Poi piano piano cominciai a sbloccarmi e a giocare più liberamente con lui con qualsiasi cosa mi capitasse sotto mano. Ricordo che le nostre interazioni miglioravano progressivamente ad ogni seduta e con tanto impegno e pazienza alla fine riuscimmo a farli giocare tutti insieme, cosa che per un autistico è davvero molto faticosa da sopportare in genere (figurarsi per più autistici fra loro). Mi ero affezionata a quel ragazzino, tanto che i suoi progressi erano diventati anche i miei, ed ero fiera e felice di essere riuscita a fare qualcosa per alleviare quella solitudine, seppure voluta. Oggi tutto questo mi è ritornato alla mente leggendo delle prospettive di vita di questi soggetti. Destinati ad una perenne dipendenza, che sia dai loro genitori, insegnanti o tutori, ad una impossibilità di inserirsi come tutti gli altri in un ambiente lavorativo una volta diventati adulti, di avere una normale vita affettiva che anzi loro ripudiano a tutti i costi. E' così triste. E' triste pensare che un bambino sia segnato sin dalla nascita dall'incapacità di sorridere. Il sorriso è la forma di comunicazione più semplice, economica e pure forse la più eloquente di cui un essere umano dispone. Permette di stabilire empatia fra le persone, le sintonizza sulle stesse frequenze. E loro non possono farlo. Così mi è tornato alla mente quel bambino, di cui stranamente l'unica cosa che mi ricordo meglio sono proprio gli occhi, che alla fine, sono riusciti a sorridermi, anche solo per qualche istante.

mercoledì 4 maggio 2011

Mi hai appena chiamata per decidere cosa farne della tua vita. Tra meno di ventiquatt'ore dovrai prendere una decisione importante per il tuo futuro e hai chiamato proprio me. Non posso che esserne lusingata, come al solito, perchè in fondo sei quella che posso definire la mia migliore amica, quella che mi sa (e mi vuole) capire più di tutti e che nonostante sia per certi aspetti così diversa da me mi vuole bene per quella che sono, che nonostante non ci possiamo vedere ormai che per qualche manciata di volte al mese per via del suo nuovo lavoro sento vicina come se fosse sempre qui. Devi scegliere se proseguire con la tua passione, che poi è anche la mia, oppure se aggrapparti ad un posto sicuro, per la paura di non farcela ad arrivare dove vorresti con i tuoi mezzi. Non avrei mai voluto che ti trovassi in una condizione simile, so quanto sia dura per te, che ti stai facendo da sola, con le tue mani, piano piano, ed io ti ammiro proprio per questo. Nelle mie condizioni la mia risposta sarebbe scontata e siccome mi conosci, conoscevi anche quella. La mia risposta sarebbe stata "No, mi tengo il part time e con quello pure il mio sogno nel cassetto". Ma non posso biasimarti se invece per te non è così. Lo so che è una proposta allettante. Il mio primo istinto è stato quello di dirti di non buttare tutto nel cesso, ma poi mi sono messa nei tuoi panni e non ho voluto influenzarti. Ho cercato di soppesare i pro e i contro, per darti una mano a trovare la ricetta giusta. E sono arrivata alla conclusione che con un po' di sacrificio, potresti ottenere entrambe le cose, che so che saresti perfettamente in grado di farcela. Ho solo paura che strada facendo tu ti perda, che perda di vista quell'obiettivo che tanto sognavamo insieme. Mi manca non camminarti più a fianco da che hai deciso che per il tuo futuro, quel futuro migliore che desidero ardentemente anche io, avresti dovuto mettere da parte tutto ciò che potevi, perchè non hai avuto la mia stessa fortuna. Mi manchi, perchè sei una delle persone più leali che abbia mai conosciuto in vita mia e che vorrei ci fossero sempre accanto a me, perchè persone come te non capita di incontrarle tutti i giorni o di sceglierle in offerta speciale al supermercato. Vorrei solo che tu sapessi che spero e ti auguro che tu realizzi il tuo sogno, che non vorrei che lo abbandonassi, perchè ti meriti il meglio e perchè sarebbe come se lo avessi abbandonato un po' anch'io.