venerdì 20 maggio 2011

Oggi, studiando psicologia clinica dello sviluppo, mi sono imbattuta nelle sidromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico, che tradotto in italiano sta per autismo e le sue varie forme. Tra gli innumerevoli sintomi che questi bambini presentano ce ne sono due che mi hanno colpita particolarmente: il rifiuto di incrociare lo sguardo altrui e la mancata comparsa del sorriso, che in generale, denotano isolamento e chiusura verso il mondo esterno. In realtà erano sintomi che conoscevo già bene. Quando avevo più o meno 15 o 16 anni e partecipavo al progetto di clownterapia del mio liceo (ero al mio secondo anno ma era la prima volta che facevo pratica) ci fecero operare per qualche mese in un centro diurno per bambini autistici. Credo fosse a Sammichele o una cosa del genere. Ricordo che quando misi piede in quell'edificio ero quasi terrorizzata, perchè oltre ad essere la primissima volta che operavo sul campo e ad avere una paura matta di non sapere cosa fare, nonostante con noi ci fossero i grandi, non avevo mai avuto a che fare prima d'allora con un bambino autistico. Una delle prime cose che ci vennero dette fu che questi bambini non guardavano mai nessuno negli occhi e che proprio per questo motivo dovevamo fare di tutto per inchiodare il loro sguardo al nostro, richiamando continuamente la loro attenzione. Cercai il più possibile di fare mia quell'indicazione e di metterla in pratica quante più volte potessi. Lavoravo sempre con un bambino, sempre lo stesso, di cui non ricordo il nome ma a grandi linee i tratti: aveva la pelle chiarissima, capelli castano scuro e due occhioni tristi. Non ricordo precisamente il loro colore, forse erano di un verde scuro, ma ricordo bene che erano molto grandi e assenti. Però io cercavo, e riuscivo a vedere qualcosa in quegli occhi che pure non mi sfioravano quasi mai, come un'eco lontana di una richiesta d'aiuto. Forse ero io che volevo vedercela, forse quegli occhi erano davvero spenti ma erano talmente belli che mi sembrava un crimine che fossero costretti a rimanere muti per tutta la vita. Inizialmente non sapevo che fare. Ero imbarazzata e non riuscivo a pensare ad altro che non fosse il mio solito modo di fare con i bambini e cioè offrire loro un approccio fisico. In genere mi viene più naturale mostrare il mio affetto con un gesto, una carezza, un bacio o un abbraccio piuttosto che con le parole, ancora di più se si tratta di un bambino. Poi piano piano cominciai a sbloccarmi e a giocare più liberamente con lui con qualsiasi cosa mi capitasse sotto mano. Ricordo che le nostre interazioni miglioravano progressivamente ad ogni seduta e con tanto impegno e pazienza alla fine riuscimmo a farli giocare tutti insieme, cosa che per un autistico è davvero molto faticosa da sopportare in genere (figurarsi per più autistici fra loro). Mi ero affezionata a quel ragazzino, tanto che i suoi progressi erano diventati anche i miei, ed ero fiera e felice di essere riuscita a fare qualcosa per alleviare quella solitudine, seppure voluta. Oggi tutto questo mi è ritornato alla mente leggendo delle prospettive di vita di questi soggetti. Destinati ad una perenne dipendenza, che sia dai loro genitori, insegnanti o tutori, ad una impossibilità di inserirsi come tutti gli altri in un ambiente lavorativo una volta diventati adulti, di avere una normale vita affettiva che anzi loro ripudiano a tutti i costi. E' così triste. E' triste pensare che un bambino sia segnato sin dalla nascita dall'incapacità di sorridere. Il sorriso è la forma di comunicazione più semplice, economica e pure forse la più eloquente di cui un essere umano dispone. Permette di stabilire empatia fra le persone, le sintonizza sulle stesse frequenze. E loro non possono farlo. Così mi è tornato alla mente quel bambino, di cui stranamente l'unica cosa che mi ricordo meglio sono proprio gli occhi, che alla fine, sono riusciti a sorridermi, anche solo per qualche istante.

1 commento:

  1. Purtroppo però è così. La cosa più triste è che non si può fare poi molto per loro...solo in rarissimi casi si possono prendere per tempo ed estinguere gran parte dei sintomi ma la maggiorparte di loro è destinata ad un isolamento perenne.

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