mercoledì 13 gennaio 2010

Ho incontrato una poesia

Questa sera, vagando per le strade della mia mente, ho incontrato questa poesia, solitaria e stracciona, in un angolo buio e remoto di un vicolo cieco. Se ne stava lì, seduta, sui mattoni di pietra a mendicare attenzione. Mi ha colpita, così ho deciso di piegarmi e donargliene un po' della mia. Non chiedetemi quali strane indicazioni mi abbiano portato da lei, fatto sta che sono arrivata al suo cospetto più o meno per caso. Ho deciso di dedicarla alle donne. A tutte le donne. In particolare a quelle donne che non si sentono poi così straordinariamente belle ma che hanno avuto in dono un'ordinaria dignità. Quelle donne che magari, nonostante non rispecchino i frustranti e severissimi canoni che questa società d'apparenze ci impone, sono amate da uomini coraggiosi che sanno accettarle per ciò che sono e che le trasformano in cigni con la forza di uno sguardo trasognato, accattivante, profondamente innamorato, passionale, geloso, fin'anche rabbioso di possessività.  Per le donne semplici, che alla vita chiedono solo di essere madri felici o compagne fedeli. O, volendo, entrambe. Insomma, per tutte le donne normali e per il loro principi in tuta da lavoro.

 


My mistress' eyes are nothing like the sun;
Coral is far more red than her lips' red:
If snow be white, why then her breasts are dun;
If hairs be wires, black wires grow on her head.
I have seen roses damask'd, red and white,
But no such roses see I in her cheeks;
And in some perfumes is there more delight
Than in the breath that from my mistress reeks.
I love to hear her speak, yet well I know
That music hath a far more pleasing sound.
I grant I never saw a goddess go:
My mistress, when she walks, treads on the ground.
And yet, by heaven, I think my love as rare
As any she belied with false compare.

 


(W. Shakespeare)

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