mercoledì 18 marzo 2009

Farfalla in una goccia d'ambra

Ero sola. Il rumore del frigo e lo scricchiolio della finestra della cucina mi ricordavano che la voce squillante di mia madre era altrove a sovrastare qualcos'altro e che mio padre era con lei. Così, in quel silenzio assordante e quasi insopportabile, non avevo più scuse per fingere di ignorare i miei pensieri che potevano vagare più liberi. Forse troppo. Non volevo davvero sentirli. Mi dicevano troppe cose, erano il ritratto del mio malessere e della mia inquietudine, che si traducevano in passi lenti nella casa solitaria. Ero come un osservatore che guarda qualcosa dall'esterno, un uomo invisibile e senza tempo (magari senza volto) che non lascia alcuna traccia sulle terre che solca, sulle cose che tocca. Ero come un fantasma, la casa non si acorgeva della mia presenza muta. Ecco cos'ero. Uno scheletro. Un corpo senza la sua anima. Un involucro vuoto, così mi sentivo. Vuota, svuotata di tutti quei pensieri che avevo liberato nel silenzio, al telefono, poco prima. Me n'ero sbarazzata, finalmente. E li guardavo in faccia, li fronteggiavo da sola ma ero troppo codarda per tenere le orecchie aperte. Ecco,mi sentivo come un serpente quando muta la pelle e la lascia lì, morta, per poi abbandonarla. Oppure come una crisalide quando si trasforma in farfalla, esce fuori da quel guscio e spiega le ali per volare via. Si, una farfalla. Mutata nella forma, che si lascia dietro il livello intermedio e si appresta a vivere la sua terza vita, lo stadio finale che l'acompagnerà verso la morte. Il mio corpo era proprio una crisalide abbandonata, un semplice strumento per partorire i miei pensieri, per generare la farfalla. Dalla sua terza nascita, essa però rimane immutata. Non poteva dirsi altrettanto delle mie macchinazioni. Le avevo lasciate nell'aria, si, ma non ero certa che non avrebbero mai più subito cambiamenti, cambiato pelle, forma. E poi sentivo che c'era qualcosa che non andava nelle mie nuove vesti, le ali faticavano ancora a muoversi liberamente nello spazio; un dubbio, una paura atroce allora mi attanagliò: se la farfalla fosse stata intrappolata? In qualcosa di più forte di lei, in qualcosa di tremendamente e perfidamente dolce e caldo ma allo stesso tempo mortale, che le avrebbe forse portato via la vita? Come una goccia d'ambra. Un nettare così bello a vedersi, dorato, vitale, in apparenza così prezioso. Un nettare che, però, se la farfalla avesse toccato, esplorato, l'avrebbe incatenata in una prigione quasi infrangibile, una volta solidificata. Estremamente comoda ma pericolosamente scomoda allo stesso tempo. Cosa avrebbe significato, dunque, per la farfalla, quel cambiamento? Che era finalmente riuscita a rompere la gabbia separandosi dalla crisalide? O era solo un'illusione, uno dei tanti tentativi? Probabilmente non lo avrebbe saputo subito. L'unica cosa che la farfalla sapeva era che, nonostante il suo forte desiderio di libertà, fino ad allora, i suoi innumerevoli sforzi per scalfire quell'ambra che la circondava erano stati vani. Ecco i miei pensieri: liberi, si, ma sempre nel mio mondo, che risuonavano e mi ritornavano indietro nella testa con un effetto boomerang. Eccoli dimenarsi, lottare, essere sconfitti e morire lì. Come una farfalla intrappolata in una goccia d'ambra.10527431kv6

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